“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura , chè la diritta via era smarrita”.

Dante sceglie come soggetto le anime dopo la morte e per fine la felicità degli uomini. Ciò che questo lavoro fotografico vuole emulare è la ricerca nello spirito umano tramite immagini di vita e di persone.

La distribuzione delle anime nell’Inferno, l’etica e la retorica Aristotelica, e successivamente in Purgatorio la mutazione delle pene e dei criteri morali hanno suggerito diversi riferimenti per questo lavoro; le guide come Virgilio e Beatrice spesso non bastano, e in assenza di queste è facile perdere la giusta direzione.

Raccontare la contemporaneità in chiave dantesca è un obiettivo arduo da raggiungere. Eppure i parallelismi tra le colpe da espiare e la volontà di espiazione sono il motore del lavoro che si è voluto intraprendere. Uomini e donne consapovevoli delle proprie colpe vengono raffigurati e descritti qui grazie agli scatti fotografici, così come Dante fece usando le parole.

È un viaggio che si muove come un’unica fotografia; un movimento unico nelle tonalità del bianco e del nero. Non ci sono parole come nel viaggio dantesco, ma uguale è l’intento. Ciò che veramente rimane è la speranza nell’amore; la giusta propensione verso esso è l’unica fonte e fine ultimo di tutti noi.

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