Tempi diversi è un’opera significativa, unica e di grande valore, animata dalla volontà di cogliere e ritrarre ciò che è più difficile da raccontare: la dedizione esclusiva, la tensione verso un assoluto che è la ragione prima di questa scelta collocata volutamente oltre le possibilità umane.

Giampiero Corelli descrive con queste parole il suo lavoro: «Sono affascinato dalle scelte di vita difficili, complicate, estreme. I miei reportage fotografici hanno fin’ora percorso sentieri che riguardano la malattia, la vita, la morte, l’identità di genere e, in particolare, ho rivolto la mia attenzione alla donna, portatrice di vita, capace di straordinario coraggio, così diversa dall’uomo, nei suoi sentimenti, da divenire un universo da esplorare, per cogliere l’essenza sfuggente del suo sentire. Poter realizzare un lavoro dedicato alle suore di clausura è stata per me una sfida e, al tempo stesso, un’esperienza unica che mi ha fatto entrare in dimensioni spaziali e temporali sospese, nelle quali il silenzio, il canto, la preghiera e il lavoro manifestano, con intensità straordinaria, la tensione della dimensione umana verso la dimensione spirituale. Un lavoro che mi ha dato l’opportunità di osservare il mondo che si cela al di là della grata e di raccontarlo attraverso le immagini.»

Tempi diversi è il frutto di una ricerca durata più di due anni durante i quali Corelli ha esplorato il mondo della clausura per ritrasmettercelo attraverso immagini di straordinaria intensità espressiva completando il suo affresco – reso con bianchi eterei, grigi colmi di mistero e neri estremi e radicali come la scelta che raccontano – con un altro nero, altrettanto forte, quello della parola scritta. E’ dal silenzio della clausura, dalle atmosfere rarefatte e colme di intensità che affiorano dieci storie, narrate per voce delle claustrali e raccolte sotto forma di intervista. Adriana Pannitteri, giornalista del Tg1, che ha curato le parti introduttive e testuali del volume, commenta quest’esperienza: «Ma forse il problema è smettere di esigere che queste donne si giustifichino dinanzi a noi e che ci convincano della bontà della loro scelta che sanno da principio essere assoluta, estrema. La fede non basta, ed è qui il punto. E’ a quell’impossibilità che loro aspirano, a quell’infinito, a quella dedizione esclusiva. A un orizzonte che prescinde dalle cose e dalle relazioni che alimentano il nostro essere in vita. Quel che accade fuori non mortifica o enfatizza il significato della loro clausura che è solo il luogo fisico della preghiera rivolta al Signore. Sanno di avere un ruolo importante nella Chiesa che ne esalta il sacrificio ma non è l’orgoglio, evidentemente, a condurle su un cammino così impervio. Le suore che ho incontrato parlano di un solo unico desiderio che prescinde dalle cose di questa vita e aspira ad altro. Ammettono che il dubbio può ostacolare il loro cammino e che la paura di non farcela possa avvinghiare i loro sonni. Che ci sono tramonti che non possono più vedere, sentieri sui quali non potranno più camminare o sguardi di uomini che hanno comunque incontrato solo per un attimo o turbamenti e rossori sulle gote. Non rifiutano il dialogo su tutto questo. Ma non sul valore assoluto e totale di quella scelta, su “quell’incontro” che ognuna di loro racconta come può. E allora se siamo qui dobbiamo avere rispetto ed ascoltare.»

Lungi dall’essere un’opera d’arte esclusivamente visiva, Tempi diversi assume quindi il ruolo di documento giornalistico unico, svelando in quei volti un nuovo desiderio di comunicare.

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